INTEGRAZIONE SCOLASTICA DEI DIVERSAMENTE ABILI

Vi è una differenza sostanziale tra inserimento ed integrazione.

La parola “inserimento” si è avuto dopo la chiusura delle scuole speciali quando i disabili sono stati inseriti nella scuola dei normodotati. Il termine inserimento, dunque, attinge ad un significato molto limitato poiché si riferisce solo all’inserimento fisico del diversamente abile senza coadiuvare tutti gli altri elementi fondamentali tesi a favorire una situazione armoniosa del diversamente abile.

L’integrazione consente al diversamente abile di trovare nella scuola spazi e tempi idonei alla valorizzazione e alla promozione della sua intenzionalità. La scuola non deve soltanto favorire la presenza del disabile ma garantire anche che tutti gli alunni, compresi i diversamente abili o i disagiati sociali, sviluppino al massimo le loro potenzialità attraverso metodi e strategie che tengano conto delle valenze individuali e sociali.

L’alunno diversamente abile o che presenta delle difficoltà deve essere costantemente condotto a percepire che i “compiti” della classe non sono a lui totalmente estranei e che hanno queste caratteristiche: esistono, sono risolvibili, possono essere appresi diversi livelli, possono essere partecipati. Mentre la classe lavora a un compito specifico, l’allievo non dovrebbe essere estraniato, ma partecipare per quanto possibile allo stesso compito, in forme adattate e/o ridotte, che rientrano nella cultura caratterizzante tale compito specifico.

Il disabile nella scuola deve apprendere e l’insegnante di sostegno deve sfruttare tutte le risorse possibili ed inimmaginabili per far si che egli sviluppi le sue potenzialità perché, come sappiamo, insegnare ad un disabile è molto più difficile che insegnare ad un normodotato e questo implica uno sforzo notevole di energie da parte della scuola.

Sarà opportuno, inoltre, mettere in luce dinamiche funzionali, cognitivi e rapporti sociali ossia massimizzare al massimo l’intelligenza affettiva dal momento che soprattutto i disabili o i disagiati sociali hanno una ipersensibilità verso i sentimenti altrui ed una necessità ancora più forte di avere uno o più amici che li vogliano bene o che li aiutino. Se ciò non avviene e alla situazione organica e/o psicobiologica del bambino in difficoltà si aggiunge quella del disadattamento il soggetto avrà scarse possibilità di emergere e di rilevare la sua intenzionalità educativa, regredirà la sua personalità.

Quale sarà, allora, il compito dell’insegnante di sostegno e della scuola:

approfondire metodi d’istruzione speciale e ricerche sulle caratteristiche e sullo sviluppo delle funzioni cognitive del bambino;

perfezionare e utilizzare materiale, sussidi…;

– rimediare ai comportamenti associali, difficili, attraverso tecniche di modificazione del comportamento;

– privilegiare il linguaggio verbale al fine di sollecitare il loro pensiero e indicare vie sempre nuove per la strutturazione sintattica dei contenuti semantici;

– realizzare concretamente un’attività scolastica ed extrascolastica in cui trovino adeguato spazio, accanto agli apprendimenti, tutte quelle attività ludiche, espressive, psicomotorie importanti per lo sviluppo della personalità.

Inoltre è importante che nella programmazione didattica l’insegnante preveda diverse fasi come quello di rendere chiaro il processo di presentazione dello stimolo attraverso strutture percettive concrete, convertire stimolo e sollecitazione in modalità percettive e operative adeguate alle possibilità di ricezione dell’alunno favorendo una progressiva armonica correlazione tra i contenuti del pensiero e la strutturazione sintattica degli stessi attraverso i vari “linguaggi”, educare alla ricerca come metodo di apprendimento al fine di porre il bambino nella condizione di discernere un problema di una situazione e di scegliere una valida tecnica di approccio, tenere presente i tempi più lunghi di cui il diversamente abile ha bisogno per apprendere e della sua scarsa persistenza delle acquisizioni, memorizzazioni e assimilazioni.

Insomma, i soggetti in difficoltà presentano dei problemi non facili da gestire ma opportune metodologie sarebbero in grado di integrarli veramente sia sul piano sociale che personale. Il loro destino è nelle mani della preparazione degli operatori e della loro disponibilità a tradurre la loro vita quotidiana in progettualità educativa.

Partendo dalla conoscenza dell’alunno ai vari livelli (medico, psicologico, sociologico ed educativo), riconoscendolo nei suoi dinamismi funzionali ed evolutivi, considerandolo come persona in grado di socializzare e di apprendere è possibile mettere a punto delle strategie educative mirate.

Esistono inoltre sei aree di interferenza funzionale maggiormente interessate ai processi di apprendimento:

1)      area linguistica e della comunicazione: è importante sollecitare verbalmente il disabile per sviluppare l’area del linguaggio;

2)      area logico-matematica: in essa l’alunno incontra maggiori difficoltà non riuscendo quasi mai a superare lo stadio delle operazioni di calcolo, della quantità, della corrispondenza e della seriazione. Questo perché, mentre l’area linguistica viene sollecitata da subito nel periodo infantile, l’area logico-matematica vede il primo approccio solo dalla prima frequentazione alla scuola;

3)      area pratico-espressiva: la manipolazione, la coordinazione, l’attività pratica sono la base dei vari apprendimenti;

4)      area motoria: coordinazione, equilibrio, rilassamento, proiezione esterna di vissuti emotivi e affettivi. L’azione psicomotoria aiuta il bambino a liberarsi da tensioni, goffaggine, ansia, fobie quasi sempre presenti nel soggetto disabile e ,spesso, sono promotrici di nuove modalità di pensare e agire;

5)      area del comportamento: come l’alunno si rapporta a se stesso e agli altri, le sue dinamiche relazionali consentono all’insegnante di intervenire con gradualità e in maniera mirata alle situazioni difficili;

6)      area etico-religiosa: è importante per conoscere la formazione del bambino, la sua dimensione morale e religiosa.

Sarebbe opportuno, inoltre, rapportare questi interventi coinvolgendo gli altri compagni poiché i processi nei quali il bambino viene coinvolto sono contraddistinti dalla possibilità di identificarsi con le persone che gli stanno accanto. E’, dunque, fondamentale che il diversamente abile viva la vita scolastica in classe e, qualora l’insegnante di sostegno lo ritenga necessario, allontanarsi temporaneamente dalla classe per approfondire determinati apprendimenti che rendano l’alunno gratificato dei suoi sviluppi                                                                              .

Maggiore sarà la stabilità e la continuità degli insegnanti e degli interventi educativi, maggiore possibilità avrà il bambino di migliorare le sue performance.

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