L’arrivo di un figlio con disabilità disattende le fantasie e le speranze dei genitori così da diventare un fattore critico nell’ambito della coppia la quale viene messa a dura prova, in essa si creano conflitti e si amplificano i disagi.
La nascita di un bambino disabile comporta una situazione di perdita e la necessità di elaborare un lutto. Non sempre, però, tale fase viene superata normalmente creando disagi nelle relazioni intrafamiliari.
In particolare, quando i genitori non riescono a superare il disagio sviluppano una reazione distorta nei confronti del figlio disabile che sfocia in un atteggiamento di rifiuto, correndo da uno specialista all’altro per risolvere “definitivamente il problema”, oppure sfocia in un comportamento iperprotettivo tale da impedire al figlio disabile di crescere, oppure, in maniera più rara, può esserci una vera e propria negazione della disabilità esprimendo un totale diniego della realtà.
La famiglia deve essere considerata come protagonista di un processo di adattamento oltre che come vittima di una situazione stressante, perciò deve essere inserita a pieno titolo nel processo terapeutico al fine di considerare l’aspetto delle risorse attivabili anziché quello dell’handicap.
La famiglia è anello fondamentale nel processo terapeutico in diversi sensi:
– un intervento efficace richiede attenzione sia per le domande poste dal bambino, sia per la fase evolutiva, sia per i bisogni della famiglia;
– la famiglia partecipa attivamente alle decisioni che riguardano il piano di trattamento del proprio figlio;
– la famiglia è coinvolta nel trattamento del figlio, anche se in misura diversa secondo i casi e con un ruolo proprio, diverso da quello dei terapisti e degli educatori;
– qualora le condizioni lo rendano necessario è ipotizzabile un intervento di supporto psicologico e/o materiale della famiglia.
Una delle finalità è quella di far acquistare all’individuo una graduale consapevolezza della situazione per porsi via via in maniera sempre più attiva rispetto alle scelte che lo riguardano.
La famiglia è il primo luogo in cui è possibile verificare le competenze apprese durante la riabilitazione. E’ impensabile, allora, tenere i genitori fuori dal contesto senza far sapere loro quali interventi dovrebbero continuare a consolidare.
Gli interventi, inoltre, vengono suddivisi in tre categorie:
– interventi volti a ridurre le fonti di stress: rientrano in questa categoria quei servizi che offrono ai genitori di staccarsi momentaneamente dalla cura quotidiana del bambino, rientra il supporto economico, servizi ove il bambino può accrescere le sue competenze…;
– interventi tesi a migliorare le relazioni all’interno della famiglia: finalizzati all’insegnamento di competenze comunicative efficaci oppure all’incremento della soddisfazione del matrimonio;
– interventi finalizzati a migliorare i rapporti tra genitori e professionisti: affinché possano collaborare alla piena riuscita educativa.
Una ricerca del servizio di psicologia dell’ Irccs “Eugenio Medea” ha rilevato che nei genitori con figlio danneggiato da paralisi cerebrale vige una modalità di reazione centrata maggiormente sull’emotività dal momento che si tratta di genitori “arrabbiati” come se il danno ricevuto avesse un colpevole e fosse evitabile. Il danno cerebrale può insorgere in seguito a complicazioni avvenute durante il parto o complicazioni inevitabili. E’, dunque, la sensazione del sopruso, della prevaricazione e della negligenza a scatenare il risentimento.
Diversa, invece, è la situazione per le coppie con figlio con malattia rara. I genitori, in questo caso, non possono imputare ad altri la ‘colpa’ di quanto accaduto e quindi accettano l’evento facendosene una ragione. E addirittura sviluppano relazioni migliori delle coppie con figli sani: in loro si sviluppa la capacità di perdonare gli errori reciproci e di esprimere al partner i propri sentimenti. Il clima familiare, insomma, è meno conflittuale.
Sempre secondo la ricerca, la famiglia, se aiutata a comprendere, dalla tragedia della nascita di un figlio disabile riesce a trovare la forza per una maturazione personale ed un nuovo equilibrio Al contrario l’indeterminatezza conferisce ulteriore precarietà. Per questo è fondamentale l’urgenza di una rete di centri specialistici che faccia fronte alla richiesta di diagnosi certe e che aiuti le famiglie nel percorso di cura.
In genere le madri stabiliscono un rapporto molto stretto con il figlio conferendogli accudimenti necessari. Tale rapporto è così stretto che le mamme faticano poi a ritagliarsi spazi propri e ad assumere altri ruoli oltre a quello materno.
I padri, invece, sembrano più sbilanciati verso l’esterno della famiglia, sono più coinvolti nel lavoro e più preoccupati degli aspetti connessi al sostentamento della famiglia e al garantire al figlio disabile un’adeguata assistenza per il presente e per il futuro.
Dalla ricerca emerge che le mogli sentono spesso il bisogno di condividere con i mariti i propri vissuti emotivi, mentre gli uomini assumono atteggiamenti più razionali.
Le ricerche concordano anche che avere un fratello con disabilità rappresenta un evento “eccezionale” che influenza profondamente non solo la relazione tra fratelli, ma anche lo sviluppo psicologico del fratello sano. Da un lato alcuni dei fratelli sani di soggetti disabili sono a rischio di disadattamento e di sofferenza psicologica, dall’altro, al contrario, alcuni fratelli sani sviluppano componenti di maturazione cognitiva e sociale. In questo è basilare sempre una formazione costante, da parte degli enti e della famiglia, del fratellino sano il quale va educato e soprattutto non deve andare trascurato nel momento in cui nasce il disabile.
Se vi è un trattamento adeguato, in definitiva le problematiche possono essere superate e addirittura possono tramutare in soddisfazioni. Da alcuni studi emerge come i figli disabili possano essere in molti modi fonte di soddisfazione per i loro genitori. Un primo momento di gratificazione viene dato dall’esistenza stessa del figlio e l’esperienza genitoriale, altro elemento di soddisfazione sono i piccoli o grandi traguardi educativi raggiunti dal bambino,oppure la sensazione di cambiamento personale, talvolta di rinascita, legata all’esperienza di disabilità del figlio.
In tali casi i genitori che vivono l’esperienza quotidiana con i figli, li considerano prima di tutto per quello che sono: ragazzi, giovani, bambini che chiedono di partecipare alla vita anche quando non hanno le parole per dirlo.
Dalle molte dichiarazioni emerge che i genitori aiutati da supporti terapeutici, non sono persone oppresse dalla disperazione ma persone che dopo una iniziale fase di smarrimento, dolore, angoscia, di fronte ad oggettive difficoltà si mettono in movimento fortificando la loro genitorialità.
Trovano forza e coraggio proprio dal loro essere “genitori” e nella genitorialità sono intrinseche la responsabilità e l’essere punto di riferimento nella fiducia e speranza verso un bambino dato al mondo. In questo ambito sentono di avere una missione che nessun altro può compiere al loro posto e nella loro fiducia, spesso raggiungono risultati impensabili.
Il benessere in famiglia non è affare che riguarda solo il singolo ma è un bene “pubblico” meritevole di ampia e costante tutela, indispensabile al progresso della collettività.